"Misericordia e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno."
Stamattina una colazione veloce e poi preparativi altrettanto rapidi per lasciare Bissau e dirigersi verso Bigene. Non c’è quasi nessuno a colazione, sono tutti al lavoro già alle 8 di mattina.
Il nostro viaggio di avvicinamento a Bigene prevede anche una tappa al villaggio di Mansoa dove Don Ivo ha intenzione di portare alcuni pacchi per la scuola della parrocchia. Carichiamo quindi il pickup con i pacchi da consegnare, la mia valigia e quella di Don Ivo e partiamo. Sta per iniziare il mio vero viaggio, il vero motivo per cui sono qui.
Viene con noi anche Padre Bernardo, parroco di Mansoa che rientra con noi nella sua parrocchia. Deve però comprare la ricarica per il cellulare. Appena lasciata la curia ci inoltriamo quindi di pochi metri oltre l’ormai famoso stradone a 3 corsie per acquistare una scheda telefonica per Padre Bernardo. Appena abbandonato l’asfalto la strada di terra rossa si riempie di buche e si svuota di macchine. Sono pochi metri ma già così sembra di aver fatto un viaggio ed essere giunto in una nuova Africa. Oggi vedrò diverse Afriche avvicinandomi a Bigene.
Il negozio dove andiamo, che come al solito vende un po’ di tutto, è ricavato all’interno di un container blu a cui è stata tagliata la lamiera per ricavare la porta di ingresso e una finestra con il bancone. Davanti al container c’è una piccola tettoia e, poggiate per terra a ridosso di un ramo che regge la tettoia, due tavole con dei versetti del Corano. Un altro container, dello stesso colore blu, è disposto ad “L” a sinistra del “negozio” ed è la casa in cui vive la famiglia del negoziante.
La scheda da 1000 franchi (1,5 euro) la paga Don Ivo che più che altro guadagna la riconoscenza di Padre Bernardo. La parrocchia di Mansoa è infatti una delle poche parrocchie diocesane della Guinea, mentre la maggior parte sono parrocchie missionarie. Ciò significa che non può contare sugli aiuti provenienti dai paesi d’origine dei missionari ma solo sul contributo della diocesi di Bissau: l’equivalente di 75 euro al mese. Più qualche offerta estemporanea. E con questi soldi Padre Bernardo manda avanti tutto ma soprattutto la scuola della parrocchia. Ogni aiuto quindi è più che ben accetto, dai pacchi di materiale didattico alla scheda telefonica.
Lungo la strada per Mansoa, che attraversa la foresta, si sviluppa la solita fila interminabile di case, chioschi e persone che si spostano prevalentemente a piedi; qualche fortunato in bici o al più in motorino, di fabbricazione cinese. Pochi metri dietro le case vedo gli alberi chiudersi a protezione del resto della foresta. La strada, le case, le persone rimangono un accidente, un corpo estraneo al resto dell’Africa che vive nella foresta.
Non è tanto che abbiamo lasciato Bissau che incontriamo un posto di blocco fisso. Una spessa fune attraversa la strada: un capo è legato ad un albero, l’altro capo è in mano a un poliziotto che quando vuole controllare una macchina tende la fune come una barriera e questo è il segnale che ci si deve fermare per un controllo. Ma una buona parola di Don Ivo, o qualche penna regalata, sembrano sbloccare ogni situazione in Guinea Bissau.
Dopo il posto di blocco le case si fanno sempre più rade e dopo poco più di un’ora e 56 km chilometri di strada in condizioni tutto sommato discrete, arriviamo a Mansoa e, attraversato velocemente il villaggio, giungiamo alla parrocchia.
Entriamo nel cortile della scuola proprio durante l’intervallo delle lezioni. Fa molto caldo, i bambini non sono in giro a giocare ma sono raccolti a “prendere il fresco” sotto due gazebo, assieme alle maestre. Durante l’intervallo di solito fanno anche il mato licio (letteralmente ammazza verme) ovvero la colazione, in realtà pasto principale per molti bambini della scuola.
“Branku branku”, bianco bianco, gridano eccitati i più piccoli vedendoci arrivare. Per loro è una festa vedere due bianchi nella scuola. Le maestre li richiamano e loro, senza perderci di vista, si mettono in piedi in una posa che verrebbe da definire a “braccia conserte”. Immagino che qualcuno di loro un giorno abbia chiesto alla maestra: cosa vuol dire a braccia conserte? Con le mani sotto le ascelle, gli avranno risposto. E infatti hanno letteralmente le mani sotto le ascelle. Sono buffi e teneri al tempo stesso in quella posa un po’ strana per noi. Ma per loro è sicuramente un segno di compostezza e rispetto verso gli ospiti.
Incontriamo i bambini, conosciamo le maestre. Mi viene presentato pure Padre Maxy, un ragazzo ordinato sacerdote da pochi mesi e che quest’estate è stato in Italia.
Finite le presentazioni chiediamo di poter fare delle foto e dopo i primi scatti ancora raccolti nei gazebo di nuovo si scatena il finimondo: tutti vogliono farsi fotografare! Vengo letteralmente assalito. Pur di entrare in un’inquadratura alzano le mani verso l’obbiettivo, si mettono davanti ai bimbi già in posa. La ressa è tale che dei bimbi cadono per terra travolti dai più irruenti e di nuovo li si deve richiamare nel timore che possano farsi male. Il caos è totale ma incredibilmente Padre Bernardo in pochi secondi riprende il controllo della situazione e dal caos totale, come per miracolo, tutti i bambini sono schierati in fila nel cortile, tutti rigorosamente in ordine dal più piccolo al più grande. Ma come ha fatto Padre Bernardo?
Recuperata un po’ di calma consegniamo loro i pacchi che abbiamo portato da Bissau. Facciamo delle foto ricordo mentre, grondante di sudore per il gran caldo, consegno un pacco. Ne apriamo uno e distribuiamo subito degli album da disegno. Sono tutti sorridenti: le maestre, i bambini, Padre Bernardo e Padre Maxy. E ovviamente anche io e Don Ivo sorridiamo. I bambini cantano l’inno nazionale in nostro onore. I bambini vogliono farsi ancora fotografare mentre mostrano gli album e continuano a mostrarli anche mentre rientrano nelle classi una volta finito l’intervallo che oggi è durato un po’ più del previsto per colpa nostra.
Andiamo allora a visitare i bambini anche nelle loro classi dove assieme alle maestre ci cantano una canzone o ci fanno vedere come sono bravi a leggere o far di conto. Tanto che Don Ivo dice scherzosamente a una bambina dopo che ha letto le frasi scritte alla lavagna: “Sei bravissima, sai tutto, allora puoi andare a casa, non devi imparare più niente!”
Oltre alle classi visitiamo la biblioteca con pochissimi libri ma un’ampia sala lettura e alcune cartine geografiche, anche se sfondate. C’è pure la cancelleria: una stanza con alcuni scaffali per lo più vuoti e con il poco materiale a disposizione controllato e distribuito con parsimonia da un segretario.
Andando verso le classi vediamo anche le pentole dove sta cuocendo il riso e alcuni pezzi rotti della pompa per l’acqua. La pompa dell’acqua infatti si è rotta 8 mesi fa. In attesa di trovare i fondi per ripararla, l’acqua si prende a mano dal pozzo vicino la scuola e la si conserva in dei fusti di plastica blu per le necessità correnti.
Durante la nostra visita arriva pure il capo villaggio a ringraziarci personalmente di essere venuti a Mansoa e ad aver portato i pacchi per i bambini. E’ molto formale, molto cerimonioso il capo villaggio. Probabilmente musulmano a giudicare dalla foggia della tunica bianca che indossa. Non si ferma un secondo con quelli che intuisco essere ringraziamenti e complimenti. Mi stringe il braccio, mi avvicina a sé e mi parla guardandomi negli occhi per essere sicuro che comprenda la sua riconoscenza. Io in realtà non ho fatto niente e mi sento parecchio in imbarazzo di fronte a queste manifestazioni che mi sembrano anche un po’ un retaggio dell’antico servilismo verso i colonizzatori. Non mi sento molto diverso dai tanti che arrivano in Africa, fanno la foto con i selvaggi redenti, i “pekadur” come li chiamavano i portoghesi, e poi tornano a casa contenti della loro buona azione. Questa è la prima sensazione che provo in quel momento mentre il capo villaggio mi sta parlando, anche se non capisco una parola di quel che sta dicendo.
Ma è il suo modo di ringraziare. Ed è sincero, spontaneo. Quindi anche se mi imbarazza il suo grazie, la sua stretta di mano prolungata, il suo abbraccio, viene naturale ricambiarlo il più possibile con la stessa cerimoniosità e soprattutto con lo stesso rispetto. Sempre come segno di rispetto preferisco non chiedergli neanche una fotografia e serbo solo il ricordo di quest’uomo anziano, minuto, magro, con la sua barbetta bianca appena accennata, le rughe profonde a solcare un viso vissuto, il labbro inferiore appena sporgente e bianco come la tunica e il suo copricapo, simbolo della sua autorità di anziano.
Mentre lo ascolto penso anche a tutto il lavoro che c’è stato per fare arrivare quei pacchi lì, alle attese e alle speranze che tante persone in Guinea e in Italia hanno verso questi bambini che adesso vedo sorridenti non per far contento me ma perché sono veramente contenti. Io ho fatto poco ma tutti insieme abbiamo fatto tanto e quindi un grazie da condividere ci sta bene, senza imbarazzi.
Finita la scuola, e prima di pranzare insieme, faccio un giro con Padre Bernardo per Mansoa. Uscendo dalla scuola sulla destra c’è uno dei tanti lucertoloni tipici della Guinea Bissau e un passero cardinale nella sua livrea rosso sangue appoggiato al cancello della scuola. La natura in Africa è presente, non c’è niente da fare.
A sinistra invece vedo un angolo dove stanno costruendo una cucina per preparare e offrire cibo agli abitanti di Mansoa, senza che debbano venire fin dentro la scuola. Una delle parrocchie più povere della Guinea-Bissau, uno tra i paesi più poveri al mondo, pensa comunque ai più poveri che sono lì vicino, lì, prossimi. Quando Gesù diceva “ama il prossimo tuo” penso che volesse dire proprio questo.
Subito fuori della scuola c’è il carcere e alcune case del periodo coloniale. La casa del governatore portoghese è oramai ridotta a un rudere e così pure la centrale elettrica è anch’essa in stato di completo abbandono e lasciata all’incuria, circondata dai rifiuti del mercato lì vicino. E’ normale vedere tra i cumuli di rifiuti gli avvoltoi che si raccolgono per mangiare quanto si può recuperare dagli scarti dell’uomo.
Anche oggi è giorno di mercato e accanto alle prime bancarelle è parcheggiato un piccolo van Renault, con i vetri rotti, che svolge il servizio di corriera verso Bissau per 2000
franchi (3 euro) a persona. Anche Padre Bernardo, come Don Ivo, ha un’auto regalatagli da non so chi. Ma è un auto molto vecchia, consuma parecchio e per andare a Bissau pagherebbe 10000 franchi
(15 euro) di benzina. A questi prezzi preferisce la corriera! Meglio ancora un passaggio da Don Ivo quando capita.
Camminando nel villaggio molti si voltano a guardarmi: non capita spesso che qualcuno venga nel villaggio da fuori. Vorrei fotografare i gruppi di persone che incontro, le donne con i vestiti dai colori sgargianti che portano sulla testa le ceste con le arachidi in vendita. Ma come al solito mi trattengo non sapendo quale potrebbe essere la reazione.
Incontriamo i bambini usciti dalla scuola che camminano per strada mettendo ben in mostra l’album da disegno appena ricevuto in modo che tutti possano vederlo. Hanno ricevuto veramente un dono prezioso e quindi che manifestino la loro gioia! Quando ci incontrano corrono da noi a salutarci e a fare un’ultima fotografia. In particolare mi colpisce il sorriso di una bambina assieme a una sua amica. Scatto la fotografia e mi abbasso per fargliela vedere sullo schermo. Sento la sua manina appoggiarsi sulla mia spalla mentre guardiamo insieme la fotografia e allora giro la macchina e scatto di nuovo.
Proseguendo nel giro vediamo pure lo scuolabus, la discoteca con la biglietteria e la chiesa della parrocchia intitolata a S. Anna. La chiesa non ha campanile e il semplice cerchione di un auto appeso a un palo fa da campana.
C’è anche un centro nutrizionale per i bambini malnutriti. Inizialmente era stato avviato e gestito dalla parrocchia, ma ora è gestito direttamente dallo Stato.
Torniamo in tempo per il pranzo. Ma anche volendo il giro non avrebbe potuto protrarsi a lungo. Fa molto caldo e a stare al sole senza protezione si patisce parecchio.
Prima di pranzo ci si lava le mani in bagno che di fatto è uno stanzino con i muri scrostati, marroni, un lavandino e un water. Il tutto un po’ stile anni 50-60 se ci si vuol fare un’idea. La pompa dell’acqua però non funziona e Padre Maxy versa sulle mani di ognuno un po’ d’acqua raccolta in una bacinella.
Anche la canonica è un grosso stanzone dall’aria un po’ passata, con mobili vecchi ma funzionali, dove viene messo un ventilatore apposta per me. Seppur non mi sia lamentato, è evidente da quanto ho sudato che ho patito parecchio il caldo.
Il pranzo è un tipico pranzo guineense con riso accompagnato da una salsa di verdure, cetrioli e volendo dei peperoncini. Ma in più oggi, in nostro onore, ci sono pure gli spaghetti, il caffè e soprattutto uno spezzatino di vacca con patate. La vacca infatti si uccide solo per le grandi feste come i funerali degli anziani o la visita di ospiti importanti. Anche questo mi imbarazza e spero un giorno di poter tornare nuovamente a pranzo da loro però a mangiare il loro pasto abituale, alla pari.
Dopo pranzo non possiamo perdere molto tempo. Per arrivare a Bigene ci attendono ancora 98 km di strada asfaltata, o comunque battuta e in discrete condizioni, passando per Bissora fino a ricongiungerci a Bula con la strada internazionale che porta in Senegal. Giunti a Ingorè ci sono altri 31 km di sterrato pieno di buche che ci si mette due ore a percorrerlo, incidenti e forature a parte. In totale 130 km e quasi 4 ore di viaggio ancora.
Salutiamo con un arrivederci P. Bernardo e P. Maxy e attraversiamo il mercato dirigendoci verso nordest per iniziare la seconda parte del nostro viaggio. La strada per Bissora-Bula non è asfaltata ma è tenuta in buone condizioni, è quasi sempre rettilinea e ci sono piccoli incroci quindi non abbiamo grosse difficoltà ad arrivare, dopo circa 25 km, alle porte di Bissora. Qui dobbiamo svoltare a sinistra per andare verso Bula e all’incrocio a T, sotto un albero, ci sono delle persone e un militare con catena e anelli d’oro d’ordinanza. Don Ivo chiede informazioni, ripete la domanda più volte: “dove si va per Bula? e per Bissora invece?”. Meglio essere sicuri: non ci sono punti di riferimento che ti possono aiutare a capire se hai sbagliato strada se non quando oramai l’hai sbagliata di parecchi chilometri.
Invece per fortuna dopo 34 km arriviamo a Bula e riprendiamo la strada internazionale per il Senegal, verso Nord. La strada internazionale per il Senegal è la strada più importante della Guinea Bissau ed è ben asfaltata. Fino a 2 anni fa però si interrompeva dove si dovevano attraversare due bracci dell'oceano che penetrano nella Guinea Bissau. Sembrano due grandi fiumi: Rio Cacheau più a nord, che attraverseremo dopo altri 16 km, e Rio Mansoa più a sud.
Fino a 2 anni fa appunto c'erano delle chiatte che facevano servizio di traghetto tra le due sponde. Caricavano circa 30 macchine e partivano per la traversata solo quando erano a pieno carico. Quindi si correva il rischio di aspettare parecchie ore, anche il giorno dopo, prima di riuscire a traghettare. Ora invece, grazie a dei fondi stanziati dall'Unione Europea, sono stati costruiti due ponti con l'impegno però, richiesto alla Guinea-Bissau, di mantenere in buono stato la strada. Per questo i due ponti si passano dopo aver pagato un pedaggio (appena 500 franchi, meno di un euro), il cui ricavato è teoricamente destinato appunto alla manutenzione della strada. Adesso quindi la chiatta del traghetto non serve più e giace abbandonata semi affondata accanto al ponte.
Anche le bancarelle, che un tempo facevano affari con gli automobilisti di passaggio vendendo soprattutto pesce, granchi e ostriche, sono notevolmente ridotte e un po’ dismesse. Resistono più per tener fede a una tradizione che per una reale prospettiva di guadagno.
Restano solo gli immancabili ragazzini che nuotano e giocano nell’acqua con delle imbarcazioni ricavate dal tronco di un albero e dalla stabilità molto aleatoria per noi occidentali.
Poco oltre il ponte ci fermiamo un momento ad osservare lo spettacolo della natura nonostante il tempo sia leggermente nuvoloso. Siamo a più di 60 chilometri dall’Oceano ma a causa del Rio Cacheau si può osservare a sinistra della strada acqua salata e a destra risaie con acqua dolce. Il tutto circondato da migliaia di palme e aironi che volano tra l'acqua salmastra e le risaie.
Una volta arrivati a Ingorè abbandoniamo la strada internazionale e ci inoltriamo nel mato, nel bosco, per una strada sterrata erosa dalla pioggia e dove l'uomo deve sempre intervenire per mantenerla praticabile, almeno ai pickup come quello di Don Ivo. Lungo la strada, soprattutto nel tratto iniziale, si incontrano risaie e piccoli villaggi. Mano a mano che si prosegue strada e panorama diventano sempre più selvaggi.
Mansoa mi era sembrato un paesino molto povero, molto più povero di Bissau, ma proseguendo il mio viaggio verso Bigene lo sterrato che ha sostituito la strada si riempie di buche sempre più grandi e il pickup di Don Ivo fa sempre più fatica. Per fare gli ultimi 30 km ci mettiamo due ore. E i paesi che incontriamo sono sempre più piccoli, sempre più poveri.
A volte neanche vedo il villaggio, vedo solo l’inizio di un sentiero perdersi nel bosco. Neanche Don Ivo, dopo 3 anni, ha ancora visitato tutti i villaggi della zona che dovrebbero essere 58 e secondo l’ultimo censimento del 2009 sono abitati da 21283 persone di cui il 50% con meno di 14 anni.
Lungo il tragitto incontriamo anche una piccola chiesa in corrispondenza della quale la strada, temporale dopo temporale, si è sempre più abbassata rispetto al terreno circostante. Ogni volta che pioveva il tratto diventava impraticabile, così la strada è stata ritracciata pochi metri più in là permettendo di passare.
Il traffico motorizzato è praticamente inesistente, al massimo qualche motorino, ma per lo più incrociamo gente a piedi o in bicicletta, rigorosamente senza freni. Però oggi martedì 4 ottobre è giorno di mercato a Bigene e qualche mezzo in più di ritorno da Bigene lo si incontra. Tra questi anche un camion che trasporta caschi di banane. Ne compriamo uno per 2750 franchi (poco più di 4 euro) da donare ai bambini del villaggio di Liman che incontreremo poco prima di arrivare a Bigene.
Man mano che ci si avvicina a Bigene la strada si fa sempre meno praticabile e piena di buche. Avvicinandoci al territorio di Bigene, in ogni villaggio che attraversiamo i bambini riconoscono il rumore dell'auto di Don Ivo (normalmente l'unica macchina che passa da queste parti) e cantano la canzone di Don Ivo "Oh alele, alele cicatomba". Neanche li vedi quando attraversi i villaggi ma immancabilmente li senti cantare quando passiamo vicino le loro case. Vicino ai villaggi incontriamo anche i bambini “bakiadur”, i bambini pastori, che stanno rientrando ai villaggi dopo una giornata in cui hanno portato le vacche a pascolare. Normalmente c'è un bambino di sette-otto anni, responsabile del gruppetto, e gli altri sui 5 anni. Sono orgogliosi del loro lavoro questi bambini e sono invidiati dagli altri bambini, pure da quelli che vanno a scuola, perché fanno un mestiere da grandi. Ma che cosa sarà di loro da grandi senza istruzione?
Tra i tanti villaggi attraversati, a 11 km da Bigene passiamo pure per Barro, uno dei villaggi più occidentali del territorio controllato da Bigene. Nel villaggio di Barro incontriamo anche una squadra di calcio di bambini con la divisa del Barcellona (lo sponsor è l’Unicef). Tutti i bambini si avvicinano sorridenti, ti toccano, ti stringono la mano. Don Ivo regala ai bambini che si sono avvicinati 1000 franchi per fare colazione.
Ci fermiamo a visitare la casa dei giovani costruita come la maggior parte delle case in Guinea Bissau: con mattoni di fango, malta di fango, pilastri e struttura del tetto ricavato dal legno degli alberi intorno, il tetto in lamiera di zinco anziché la tradizionale paglia che si deve sostituire ogni due anni perché dopo marcisce e si infesta di insetti.
All'occorrenza la casa dei giovani serve da discoteca e la domenica anche da chiesa. Ma quest’estate ha subito un crollo sul lato sinistro e dei giovani la stanno ristrutturando. Con mattoni di cemento questa volta, anche grazie all'aiuto di Don Ivo che non si lascia scappare l’occasione di offrire la colazione anche a questi ragazzi.
Proseguendo arriviamo poi al villaggio di Liman. Nonostante sia lungo la strada che porta a Bigene questo villaggio comunque è uno dei più poveri della zona non avendo campi da coltivare. Sicuramente le banane acquistate poco prima saranno graditissime e Don Ivo le consegna al capo villaggio mentre siamo assaliti da una caterva di ragazzini impanati di polvere e che sono felicissimi se li fotografi. Un bimbo in particolare non si schioda da me e vuole camminare con me dandomi la mano. Tutti comunque vogliono toccarmi, darmi la mano.
Poco più in là ci sono delle donne che stanno pulendo il riso dalla pula con dei caratteristici bastoni, i “pilar”, che vengono battuti alternativamente da due donne in un recipiente, il “pilon”. Sullo sfondo si vedono le tipiche case della Guinea Bissau che in parte avevo già visto a Bissau vicino Cumura e Bor e la cui costruzione, con i mezzi che fornisce la natura circostante, non contribuisce certo al PIL del paese.
Proseguiamo nel nostro viaggio, oramai prossimo alla meta, e incontriamo due uomini impegnati in un altra attività extra PIL: il taglio delle foglie di palma e la raccolta del vino di palma. Per arrampicarsi il più giovane dei due usa un attrezzo ricavato di nuovo da quello che la natura offre: le foglie di palma.
Alla fine giungiamo a Bigene attraversando lo stagno delle ninfee, mi dice Don Ivo, ma adesso è tardi e tutti i fiori sono chiusi. Avrò modo di vederli nei prossimi giorni.
Per arrivare alla missione e alla casa di Don Ivo bisogna attraversare tutta Bigene. Oramai è tardi e non c’è quasi nessuno in giro.
Vedo invece lungo la strada principale i pali della luce, improbabili da quanto sono mal ridotti, e le case in muratura, del periodo coloniale, altrettanto mal ridotte se non peggio, per lo più oggi adibite a funzioni pubbliche come il magazzino, il forno, la caserma, la prigione, la casa del sindaco. Dietro si intravedono le case degli abitanti di Bigene, costruite tradizionalmente, con quello che si ricava dalla terra circostante: fango, tronchi, foglie di palme.
Se Bissau mi era sembrata povera e mi aveva lasciato una sensazione di tristezza, queste impressioni e sensazioni si sono rafforzate sempre di più ad ogni villaggio che ho incontrato oggi, sempre più povero e sempre più isolato, fino a Bigene. Ma avrò modo nei prossimi giorni di descrivervi meglio Bigene.
Per adesso, dopo una giornata passata in macchina, c’è solo il tempo di prendere possesso della stanza assegnatami da Don Ivo e andare a cena nella casa della suore dove appunto faccio la prima conoscenza di Suor Binna, indiana, e di Suor Rosa, di Foggia.
Una cena semplice ma accogliente nel cuore dell'Africa.
"Misericordia e verità s'incontreranno, giustizia e pace si baceranno."